Cara Rosa,
so già cosa penserai, ma ti scrivo lo stesso.
Lui si chiama Mirko. Ha 29 anni, fa il tatuatore, ascolta techno bulgara e ha un profilo Instagram in cui si fotografa le scapole.
Ci siamo visti due volte, sempre per caso, in quel baretto che ora frequento regolarmente fingendo che sia per il gin tonic e non per lui.
Lui mi guarda, mi sorride, mi chiama “zia” – lo fa per scherzare, dice – ma a me brucia..
Ho studiato, ho un lavoro che mi piace e mi realizza, due gatti, e un discreto curriculum sentimentale di uomini sbagliati con dizionari emotivi ridotti all’indice.
Eppure questo Mirko mi ha confusa, mi sento innamorata. Non mi scrive, non mi cerca, e io … lo aspetto.
Daria, 46 anni, Bologna
Che dici vengo? Mi si nota di più se vengo e me ne sto in disparte o se non vengo per niente? Vengo. Vengo e mi metto così, vicino a una finestra di profilo in controluce, voi mi fate: “Michele vieni in là con noi dai…” e io: “andate, andate, vi raggiungo dopo…”.
Dal film «Ecce Bombo»...
Cara Rosa,
non so se sei la persona giusta a cui chiedere consiglio, ma una collega mi ha girato il tuo blog e quindi eccomi.
Mi chiamo Gabriele, ho 45 anni, lavoro in un’azienda editoriale dove si parla tutto il giorno di contenuti che nessuno legge.
Da mesi mi sento attratto da una collega. È più giovane di me, ironica, brillante, con due occhi che ti fulminano mentre parli di log-in e lei ti ascolta come se stessi leggendo un libro di poesie.
Ed io le ho scritto proprio una poesia. Una poesia sulla sua frangetta, ma non gliel’ho mai consegnata. Sì. Sono quel tipo.
Il problema? Sono pelato (non rasato, ma proprio pelato), ho una pancetta resistente come l’editoria tradizionale, e mi vesto come un tizio che ha confuso “normcore” con “disperazione casual”.
Ogni volta che guardo lei, mi chiedo: come posso piacere a una donna così, se nemmeno io mi piaccio quando passo davanti allo specchio dell’ascensore?
Gabriele, 45 anni, Milano